La ceramica comune di Stabiae tra gli ‹standard› di produzione primoimperiale e la sopravvivenza di forme locali come fattore di cronologia, di costume e di abitudini alimentari
Abstract
Tra 2003 e il 2004 si è potuto classificare una serie di materiali ceramici (c.ca 3000 pezzi) provenienti dai vecchi scavi della metà del ‘900 effettuati nella villa di Arianna di Castellammare di Stabia, per definire forme e tipologie onde contestualizzarne l’uso e la funzione in rapporto alla vita quotidiana di una grande villa di otium di età tardo repubblicana e primoimperiale. Stabiae infatti, ricordata dalla fonte letteraria di Plinio il Vecchio, come uno degli oppida non più esistente ai suoi tempi, e situato nell’ Ager Stabianus, oggetto di devastazioni durante la guerra sociale, diviene poco dopo l’89 a.C., un luogo ameno di villeggiatura, punto di ritrovo dell’ élites di età tardo repubblicana che trovano qui la possibilità di sfruttare le risorse di un territorio molto fertile sia per le produzioni vinarie e olearie, sia per i prodotti dei campi, ortaggi e frutta, sia infine per le risorse derivanti dalla pesca e dal patrimonio zootecnico. La nuova destinazione del territorio, ancora riconosciuto in epoca tarda nella Tabula peutingheriana col nome di ‘Stabios’, è definita perciò dalla felice posizione dove è ubicata, ricca di acque, su lieve altura collinare, ai piedi dei Monti Lattari, collegata da un breve diverticolo alla via Nuceria, importante strada di snodo per l’agro nocerino sarnese, situata di fronte a Pompei e prospiciente il mare.